Con una recente pronuncia, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che era intervenuto per escludere, in via retroattiva, l’operatività delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti pubblici in relazione al triennio 1991-1993.
Il principio di diritto posto a base della decisione è di particolare rilevanza, in quanto volto a delimitare “entro imperative ragioni d’interesse generale” il potere del legislatore di emanare norme con efficacia retroattiva, ancor più se destinate a incidere su questioni oggetto di contenzioso in corso come si era verificato nella fattispecie.
La norma dichiarata costituzionalmente illegittima aveva stabilito, in sostanza, che, ai fini della maturazione delle anzianità di servizio previste per il riconoscimento della RIA, non operava la proroga al 31 dicembre 1993 stabilita dal decreto legge n. 384 del 1992, intendendo così porre fine al rilevante contenzioso che era scaturito dopo l’emanazione del citato decreto, che vedeva sempre più consolidarsi un orientamento della giurisprudenza favorevole a riconoscere al personale interessato il diritto al beneficio economico de quo.
La vasta eco della pronuncia d’incostituzionalità ha propagato i propri effetti anche fra i dipendenti della sanità pubblica ed i pensionati, per i possibili riflessi sulla ricostruzione di carriera e gli eventuali arretrati.
A tale proposito e con riferimento ai dirigenti medici, giova ricordare che la RIA è emolumento che riguarda coloro che erano in servizio alla data del 31 dicembre 1996 e corrisponde al valore degli scatti di anzianità in godimento a tale data, poi aboliti a seguito della contrattualizzazione del rapporto di lavoro a decorrere dal 1° gennaio 1997 e mantenuti come assegno ad personam, rientrante nel trattamento fondamentale, utile ai fini della tredicesima, del trattamento di fine rapporto e di quello di quiescenza.
I potenziali effetti della pronuncia d’incostituzionalità si riferiscono, quindi, a quei percettori della RIA che avrebbero beneficiato delle relative maggiorazioni maturate nel triennio 1991-1993.
Deve, tuttavia evidenziarsi, in primo luogo, che la specificità della disciplina retributiva dei dipendenti della sanità rende per essi di dubbia applicazione la declaratoria d’incostituzionalità, segnatamente rivolta ai dipendenti del comparto Ministeri.
In ogni caso, sebbene sia astrattamente ipotizzabile in ogni tempo una richiesta degli interessati volta all’esatta ricostruzione dell’anzianità di servizio, trattandosi di un mero fatto giuridico insuscettibile di un’autonoma prescrizione distinta da quella dei diritti che su di essa si fondano, è da ritenersi, dato il lungo tempo trascorso, che, in mancanza di precedenti atti di costituzione in mora, non ne possano conseguire utili risultati sul piano patrimoniale, tanto con riferimento alle differenze retributive, quanto per l’incremento del trattamento di quiescenza, stante il principio generale che regola gli effetti delle pronunce d’incostituzionalità, i quali si estendono ai rapporti giuridici sorti anteriormente solo se ancora pendenti e cioè non esauriti, per tali dovendosi intendere quei rapporti nell’ambito dei quali non siano decorsi i termini di prescrizione o decadenza per l’esercizio dei relativi diritti e per i quali non si sia formato il giudicato.
Tuttavia, in attesa del consolidamento di un’univoca interpretazione circa l’ambito applicativo della declaratoria d’incostituzionalità e dei relativi effetti, potrebbe essere opportuno, per i soggetti percettori della RIA, inoltrare, in via cautelativa, all’Amministrazione datrice di lavoro una formale richiesta di “ricostruzione dell’anzianità di servizio alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 4/2024, con i consequenziali effetti relativi alle differenze retributive maturate, anche ai fini del trattamento di quiescenza, di cui si chiede il riconoscimento, valendo la presente quale atto di costituzione in mora”.

avv. Mariano Morgese

RIA

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