Roma, 10 ott. (AdnKronos Salute) – E’ incostituzionale, per l’evidente conflitto di interesse nella nomina dei componenti ministeriali, la Commissione centrale professioni sanitarie (Cceps), ossia l’organismo che giudica gli appelli alle sanzioni inflitte dagli Ordini a medici, odontoiatri e agli altri professionisti della salute. La Consulta, in una sentenza del 7 ottobre, ha così cancellato la ‘Commissione d’appello dei camici bianchi’, già ferma ormai da oltre un anno e mezzo in attesa proprio di questa sentenza.

Un’attesa che ha determinato una vera e propria paralisi per le decisioni legate sanzioni disciplinari. Con un doppio danno per i medici (ma anche gli infermieri, i veterinari) che non possono veder riconosciuto il loro diritto all’appello e per l’inapplicabilità di sanzioni a professionisti che hanno violato palesemente le regole, visto che chi ha fatto ricorso, secondo la legge, può continuare a esercitare in attesa della pronuncia del Cceps.

La sentenza della Corte costituzionale (n.214, presidente Paolo Grossi) parte dall’appello di un dentista straniero e porterà a una modifica epocale del sistema di ricorso alle sanzioni comminate dagli Ordini professionali. Dopo la lunga attesa per questa sentenza, i giudici della Consulta hanno sancito l’illeggittimità Costituzionale della norma, datata 1946, nella parte in cui si prevede la nomina di due componenti designati dal ministero della Salute che sceglie i ‘giudici’ tra i suoi funzionari. Un chiaro conflitto d’interesse poiché il ministero, in cui ha anche sede la Commissione, è ente vigilante.

“Assume decisivo rilievo, soprattutto – si legge nella sentenza – la circostanza in forza della quale i citati componenti rimangono incardinati, dopo la designazione, nella stessa amministrazione di riferimento: lo status economico e giuridico del dirigente scelto non muta infatti dopo la nomina, nonostante la quale l’attività dello stesso dirigente rimane soggetta anche al controllo disciplinare del ministero designante. Emergono, dunque, con immediata evidenza, i vincoli di soggezione con una delle parti del procedimento destinati a porsi in aperto contrasto, già sul piano della mera apparenza esterna, con i caratteri di indipendenza e imparzialità che devono colorare l’azione giurisdizionale”.

Inoltre, continua la Corte , “si consideri, tra tutte le ragioni di soggezione potenzialmente in grado di incidere sull’autonomia decisoria del componente e conseguentemente dell’organo, quella immediatamente legata all’azione disciplinare. Il componente di matrice governativa resta infatti attratto, anche per le condotte legate all’agire della Commissione, al potere dell’amministrazione di appartenenza. Il che equivale a dire che una delle parti dei giudizi trattati dalla Commissione è legittimata a verifiche disciplinari sul comportamento di uno dei membri del collegio decidente, compresi gli aspetti legati alla partecipazione alla Commissione”.

“Tanto – si legge ancora nella sentenza – mette definitivamente in discussione il tema dell’indipendenza, prerogativa posta ancora di più in crisi se si considera che l’azione disciplinare si potrebbe prestare a manovre di allontanamento del soggetto interessato, destinate a concretare una revoca del mandato tanto implicita quanto indebita. Ipotesi, quest’ultima, destinata a porsi in evidente contrasto con il requisito della inamovibilità, ritenuto dalla Corte presidio di indipendenza dell’azione dei giudici speciali, pur dovendosi attagliare il relativo principio alle peculiarità della giurisdizione di riferimento”.

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